E quindi alla fine il “brodino” rappresentato dal punto ottenuto contro il Monza si è rivelato niente altro che un placebo. Ci si è attaccati alla speranza che Pasini e compagni, ottenuto il pareggio in rimonta contro una delle accreditate “big” del campionato, potessero crescere in fiducia e autostima e ripartissero con rinnovata convinzione. Niente di tutto questo. A Parma si è tornati ad assistere al solito nulla calcistico, condito da errori banali e braccia larghe come unica dimostrazione concreta di reazione: un linguaggio del corpo che la dice lunga su cosa passa per le menti di una disastrata squadra indegnamente vestita di biancorosso.
Non è bastato nemmeno giocare con l’uomo in più per una mezz’ora abbondante (figuriamoci se non si riusciva a restituire la parità numerica all’avversario…) per far trovare coraggio ai nostri pedatori. Ma si sa, come diceva il Manzoni per bocca di Don Abbondio “Il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare.”
Però, e qui arriviamo al punto, una cosa è il coraggio, un’altra è la dignità. Dignità di fare il proprio lavoro, per cui si è pagati, in modo adeguato e con professionalità. E qui non ci siamo, perché nove partite perse su undici si possono (forse) concedere a chi non ha mai visto la categoria, non a chi ci naviga da anni in cadetteria come buona parte dei nostri “eroi”, giocatori in molti casi esperti, derubricati al ruolo di macchiette, protagonisti di gol subiti in modalità che avrebbero fatto la felicità di vecchi programmi tv della “Gialappa’s band”.
Mancano 27 gare alla fine della stagione, non è dato sapere se il “buon team”, allestito dalla società ha intenzione di continuare con questo stillicidio di sconfitte e prestazioni indecorose, ma chi sta in cabina di comando qualcosa di concreto, visibile e deciso lo deve fare. I tifosi, quasi settecento a Parma, avevano dimostrato di crederci ancora. Purtroppo chi va in campo probabilmente non ci crede più, indossando e sportivamente infangando con risultati nefasti una divisa che una certa storia – ci permettiamo di dirlo – ce l’ha. Sentire dire “non siamo stati abbastanza determinati” a fine gara è inaccettabile. Vedere giocatori in campo con lo spirito di chi è lì per timbrare il cartellino, ancora meno. Ora dunque basta: si faccia una scrematura di chi ha voglia di lottare per questi colori e di chi invece ha già abbassato la testa. Fossero anche nomi illustri si facciano da parte: meglio un asino vivo che un dottore morto, dice il detto, e qui di vedere “morti” in campo ci siamo stancati.
(foto: Giornale di Vicenza)