Sabato 17 febbraio si è tenuto presso l’Istituto Engim-Brandolini di Oderzo un incontro tra una rappresentanza di ex sportivi professionisti e una platea di circa duecento studenti. L’incontro è stato fortemente voluto, organizzato e presentato dall’instancabile e poliedrico sacerdote/docente di origini vicentine don Manuel Monti, (grande tifoso del Lanerossi Vicenza) e ha visto la partecipazione di cinque giocatori che hanno calcato i campi di serie A negli anni settanta e ottanta …. Giorgio Carrera, Franco Cerilli, Rodolfo Cimenti, Stefano D’Aversa, Maurizio Memo e dalla campionessa di pattinaggio Silvia Marangoni. Qui sotto riportiamo un breve resoconto degli interventi degli ospiti che sono saliti sul palco a parlare di valori educativi e morali nello sport, della forza del gruppo e dell’importanza dei rapporti che si creano nel condividere un’attività agonistica. Dopo i calciatori sono saliti sul palco alcuni studenti che hanno raccontato la loro esperienza sportiva e la Preside, professoressa Margherita Bergo.
STEFANO D’AVERSA:
Alla domanda di quanto fosse importante l’amicizia nel calcio dei miei tempi non posso che rispondere … eccoci qui … compagni di squadra e amici anche dopo quarant’anni. Lo spogliatoio è stato vent’anni di calcio che equivalgono a sessanta di vita, perché dentro c’è tutto. Io e Franco quando giocavamo non ci passavamo solo il pallone, ci passavamo anche dei valori importanti … l’amicizia, la stima e il rispetto reciproco. Come adesso, che gli ho prestato gli occhiali per leggere. Voi ragazzi passate cinque anni di scuola insieme … voi non scorderete mai più i vostri compagni di classe. E così è successo anche a me, sono rimasto quarant’anni anni senza rivedere i miei compagni di squadra eppure quando ci siamo incontrati ancora è stato come se ci fossimo visti il giorno prima al campo di allenamento! Io ho giocato altri vent’anni dopo il Lanerossi Vicenza, ma la coesione e la forza di quel gruppo non li ho più trovati in nessun’altra squadra. Amicizia e rispetto dicevo. Ma nel calcio tra noi calciatori ci sono delle regole non scritte, solo chi ha giocato a calcio ed è stato nello spogliatoio le conosce …. negli ultimi anni sono state tutte stravolte. Il capitano veniva scelto dalla squadra e dall’allenatore per la sua esperienza, il suo carisma e il senso di appartenenza alla maglia. Si individuava quello sapeva prendersi sulle spalle tutti i problemi dei compagni, che sapeva farsi valere con il presidente e con gli arbitri. La fascia di capitano non può essere indossata dall’ultimo arrivato, come nel caso di Bonucci al Milan (decisione imposta dal procuratore del giocatore). Un’altra regola non scritta era per esempio quella di buttare fuori la palla quando un giocatore avversario si faceva male ed era una cosa importante perché insegnava a noi giocatori il rispetto reciproco. In più era un gesto simbolico che dimostrava pubblicamente a tutti gli spettatori che noi calciatori non ci passavamo solo il pallone ma anche dei valori, come vi ho già detto. Uno dei problemi che purtroppo affliggono voi giovani è il deprecabile fenomeno del bullismo … la forza di un vero leader deve essere usata in senso positivo per aiutare chi è in difficoltà, non per prevaricare e usare violenza ai più deboli. E a riguardo di un altro pericolo che incombe nelle vostre viste … la droga … state molto attenti perché vi massacra la vita e vi rende schiavi … persone senza libertà. Non credete mai a quelli che vi dicono che la droga non fa male. Ai nostri giorni purtroppo non ci sono più punti di aggregazione sani come le parrocchie e gli oratori ma è comunque importantissimo praticare uno sport. Ricordatevi, fare sport vi salva la vita!
SILVIA MARANGONI
L’esperienza nel pattinaggio mi ha permesso di realizzare il mio sogno senza nulla togliere alla mia vita personale. La mia è stata una scelta ben ponderata, sapevo a cosa andavo incontro. Il mio sogno era che la mia passione diventasse anche il mio lavoro e per sette anni ci sono riuscita. E’ chiaro che negli anni dell’agonismo ho dovuto fare delle rinunce: io mi allenavo e i miei amici andavano a divertirsi. Vedete, la passione – se è grande – giustifica i sacrifici e la fatica. Ma alla fine posso dire di essere riuscita a frequentare le mie amicizie e farmi una famiglia e tutto quello che ho “perso” in sette anni di attività l’ho comunque riavuto a fine carriera. E ricordatevi che non tutti possono diventare campioni ma la pratica sportiva è comunque un’esperienza arricchente! Il pattinaggio, pur essendo uno sport individuale diventava di squadra quando si lavorava in Nazionale con le mie compagne, lo staff di allenatori, fisioterapisti, massaggiatori. Erano dei bei momenti di condivisione di un progetto, di realizzazione non solo personale, ma di gruppo. E i risultati raggiunti mi hanno aiutata a rafforzarmi come persona e aumentare la mia autostima.
GIORGIO CARRERA:
Ho avuto la fortuna di essere allenato dal miglior allenatore del mondo, Gibì Fabbri e quindi non posso che essere grato alla vita per aver passato tre anni con un grande maestro come lui. Ha saputo davvero far uscire il meglio da ognuno di noi giocatori lasciandoci liberi di esprimere il nostro potenziale tecnico ma soprattutto il nostro estro individuale. Non si possono imprigionare le potenzialità di un calciatore nella gabbia degli schemi fissi …. Per quanto riguarda invece la mia esperienza di allenatore per due anni nelle giovanili del Vicenza posso solo assicurarvi che per ottenere buoni risultati i giovani devono essere incoraggiati a dare il meglio di se stessi, non insultati. I ragazzi devono entrare in campo per migliorarsi ma soprattutto per divertirsi, il calcio deve essere una gioia. Vedete, non sono tanto importanti i risultati … e ve lo dice uno a cui piace vincere …. quanto i miglioramenti che si riescono a ottenere tramite i consigli dell’allenatore e la pratica. Smettiamola di pensare solamente al risultato. Se si gioca male è giusto perdere, è comunque una lezione di vita. I responsabili dei settori giovanili hanno un grande compito educazionale, quasi una missione. E invece purtroppo il calcio finisce nel momento stesso in cui si arriva a pagare pur di far giocare il proprio figlio. Lo dico con una grande tristezza nel cuore, il calcio è morto. Guardate, se potete, domenica sera l’inchiesta di Massimo Giletti sul marcio che ha divorato il calcio italiano. Non chiudiamo gli occhi di fronte a questo scempio! Non cercate mai facili scorciatoie, nel calcio e nella vita!!!
FRANCO CERILLI:
Avete parlato di gruppo e di amicizia e vorrei portarvi anche la mia esperienza. Ho giocato due anni nell’Inter dove con i miei compagni ho avuto solo un rapporto professionale. A Milano molti giocatori vivevano fuori città e non ci trovava mai dopo gli allenamenti. Vicenza invece era una realtà molto più piccola, vivevamo tutti vicini ed era naturale fermarsi a condividere un aperitivo con un tramezzino o una cena con le famiglie. A proposito di quello che ha affermato prima Giorgio Carrera sui gravi problemi che affliggono il settore giovanile vorrei leggervi questo testo scritto da Gianluca di Marzio, giornalista telecronista e conduttore sportivo televisivo.
“Se ne accorgono tutti ora che il calcio italiano è in sofferenza. No amici miei, è morto da un pezzo in una sala della Fifa, ma non ve lo hanno detto. È stato ammazzato dal potere, dai soldi, dai genitori che pensano di avere Del Piero come figlio, da presunti allenatori che pensano solo a vincere, dalle nuove regole, dalle scarpe personalizzate, dai papà che pagano le società per far giocare il proprio figlio. I settori giovanili sono culle di piccoli presuntuosi, viziati, gasati, senza midollo. Figli del mondo moderno, delle famiglie allargate che non sanno nemmeno chi li debba andare a prendere alla fine dell’allenamento: se il papà 1 o quello bis, se la nonna numero tre che ha già portato il fratellastro alla festa dell’asilo o il nonno dell’altra sorella che è a fare danza. I settori giovanili servono ad in-se-gna-re. Chiaro il concetto? Come le scuole elementari. Pensate se due maestre di prima elementare si mettessero a fare gara su chi ha gli studenti più intelligenti o quelli che potrebbero vincere le olimpiadi della matematica: un disastro. Ecco, questo è quello che succede oggi. Non si insegnano più i fondamentali, che quelli della mia generazione imparavano giocando per strada col pallone rubato a chissà chi. I bambini non sanno stoppare, dribblare, saltare l’uomo, tirare in porta, posizionarsi bene col corpo per difendere. Non hanno coordinazione, grinta, voglia, amore. Giocano a calcio perché il papà aveva il sogno di farlo diventare il nuovo Paolo Rossi e non perché ci credono davvero. Nei settori giovanili si insegna che si deve vincere, ad ogni costo. Si acquistano ragazzini fisicati ma dai piedi assai mediocri perché i loro coetanei sono ancora gracilini, novelli puledrini nati da poco, e con il fisico fai supremazia e vinci le partite. Gli allenatori non hanno preparazione, che deve essere mirata in relazione all’età del ragazzo: voi credete che un insegnante possa andare bene per qualunque classe? Una maestra può insegnare al liceo o al professionale o all’università? No no cari miei. Nell’età fondamentale delle elementari (e dei settori giovanili) l’insegnante deve essere specifico in relazione all’età del bambino. Ho visto far fare preparazioni muscolari a bimbi di 8/9 anni che i muscoli li hanno solo sulle dita per spingere i tasti della Playstation. Ho sentito dire a certi allenatori di “tenere la linea del fuorigioco, di attaccare la porta, di fare le diagonali e gli schemi sui calci d’angolo a ragazzi del 2006. Duemilaesei, undici anni. Undici. A quell’età ti dovrebbero dare un pallone e dirti di fare quello che vuoi, di divertirti, di esprimere le tue doti naturali, quei doni eccelsi che avevano Totti, Pirlo, Lentini, Maradona, Maldini. La libertà di esprimere se stessi. Oggi, in un modo o nell’altro siamo tutti schiavi di un sistema, perciò non stupitevi se siamo usciti dalle qualificazioni. Ce lo siamo meritato, ma purtroppo non cambierà nulla. Siamo in Italia del resto…”.
(Gianluca Di Marzio)
MAURIZIO MEMO
Nel calcio ho rivestito il ruolo di portiere, un ruolo molto particolare. Da ragazzo ho esordito come numero uno per caso, mancava il portiere e hanno messo me in porta. Ho preso nove gol ma non ho sofferto, ho capito subito che ero in grado di reggere psicologicamente anche una pesante sconfitta. Quando fai il portiere sei da solo, là in mezzo alla porta e nessuno ti può aiutare, le decisioni nel bene e nel male sono solo tue. Quando ho cominciato a giocare abitavo a Jesolo. Bene, da Jesolo prendevo il pullman fino a Mestre, da Mestre prendevo il treno fino a Padova, poi dalla stazione di Padova prendevo l’autobus fino all’Appiani. Questo tre volte la settimana. Adesso ti vengono a prendere con il pulmino sotto casa, è tutto più facile. Noi ragazzi avevamo una cura meticolosa del materiale che ci veniva consegnato, le scarpe le lavavamo da soli e ci mettevamo dentro dei fogli di carta perché asciugassero prima. Poi le pulivamo con il grasso di foca e passavamo anche il lucido nero, perché se non eri in ordine l’allenatore non ti faceva giocare. Non avevamo procuratori che ti portavano in giro per l’Italia a fare i provini. C’erano le società calcistiche e c’erano gli osservatori … le società più grosse visionavano i giovani delle società più piccole e sceglievano i migliori. Sembra veramente che stiamo parlando di storie di un secolo fa, vero? A fine carriera ho cercato di trasferire ai giovani la mia esperienza. Se un ragazzo non ha voglia e non ha lo spirito di sacrificio per migliorarsi e per arrivare, meglio lasciar perdere. Non si ottiene nulla dalla vita senza lottare, ricordatevelo.
RODOLFO CIMENTI
Quando ho iniziato a giocare io, purtroppo ho avuto un allenatore che non mi capiva, mi diceva sempre che non valevo niente e che era meglio che smettessi. Quando succede di incontrare una persona così, le motivazioni bisogna trovarle dentro noi stessi. Capisco ed è giusto che il giocatore vada migliorato e corretto negli errori, ma tu Franco (Cerilli n.d.r.) sei stato molto fortunato a essere allenato da una persona come Gibì Fabbri, credimi. Quando giocavo nel Foggia e siamo venuti a Vicenza per una partita di campionato, ci siamo incontrati con voi del Lanerossi in un cinema del centro …. eravamo tutti a bocca aperta nel vedervi mangiare il gelato come dei ragazzini qualunque. Dai noi era assolutamente vietato il giorno prima della partita. Ci siamo guardati e abbiamo detto “Ma come fanno questi ad essere primi in classifica ?”. Io non ero certo bravo come voi, ma volevo – e bisogna sempre volerlo – essere come voi! Sono arrivato a migliorarmi con la forza del carattere e della volontà, le vostre qualità tecniche erano decisamente superiori alle mie, ma io ho sopperito con la grinta e la voglia di vincere. Insomma, nel calcio e nella vita o sei un campione o devi lavorare tanto per cercare di esserlo ….