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Questa è una di quelle interviste che vorrei aver raccolto venticinque anni fa … quando questo grandissimo amico e tifoso lontano del Lane vestiva ancora l’amatissima casacca biancorossa, la numero otto. Stefano Civeriati è uno di quei giocatori che si portano come esempio quando si parla della ruota della fortuna che per qualcuno gira sempre al contrario. Senza i gravissimi infortuni patiti in carriera, dove sarebbe potuto arrivare uno come lui, con il suo indiscutibile e riconosciuto grande talento calcistico? E’ una domanda che resterà, purtroppo, senza una risposta. Personalmente considero un dono del dio del calcio il suo arrivo e la sua permanenza a Vicenza, durata tre anni. Ricordo con nostalgia e rimpianto il calcio romantico, sepolto senza nessun onore agli inizi degli anni novanta dall’avvento delle televisioni a pagamento e dal dilagare del potere dei procuratori calcistici. Stefano Civeriati è stato uno degli ultimi esponenti di quel tipo di calcio che oggi non c’è più, che ho avuto il piacere di veder giocare con la maglia biancorossa, anche lui componente di quella pattuglia di calciatori di grande talento e di elevatissimo spessore morale portati qui dal duo Gasparin/Dalle Carbonare.

Buongiorno Stefano, grazie della tua gentile disponibilità per questa chiacchierata. Le interviste sono spesso ripetitive, cercherò per quanto possibile di non farti le solite domande di rito ….

Buongiorno Anna … grazie a voi di avermi ospitato …

Partiamo dal tuo esordio, due anni all’Inter con Giovanni Trapattoni. Ti metti in particolare evidenza nella formazione Primavera. Leggo testualmente da “La Repubblica” del 19 febbraio 1987: “L’Inter ha aperto il torneo di Viareggio battendo la Dinamo Zagabria per 2 a 1. A otto minuti dalla fine stava ancora perdendo. Mario Corso ha tentato la carta della disperazione mandando in campo Stefano Civeriati, classe 1966. Civeriati si è inventato due gol bellissimi, regalando la vittoria all’Inter, attuale detentrice della Coppa Carnevale”.

Eh sì, me la ricordo bene quella partita … proprio da lì è iniziata la mia carriera dei due anni in sere A con Trapattoni. Sai, quella volta non dovevo giocare perché non stavo bene … avevo problemi alla caviglia, tanto per cambiare …. Poi il debutto in serie A. Io penso che ogni ragazzino che comincia a giocare al calcio abbia nel suo cuore un sogno … io l’ho realizzato il 22 novembre 1987 giocando la prima partita nella massima serie con la maglia dell’Inter, all’Olimpico di Roma. 3 a 2 per la Roma. Poi da lì è partita la mia avventura che mi ha portato a vestire tante altre maglie in giro per l’Italia …. Ma quella che mi è rimasta incollata è una sola e non ne ho mai fatto un mistero …. è la maglia biancorossa del Lanerossi Vicenza …

Cosa vuol dire per un ragazzino di provincia crescere nella scuola Inter? Lontananza dalla famiglia disciplina, regole, sacrifici … ma anche il privilegio di essere a contatto con alcuni dei mostri sacri del calcio dell’epoca … Mi vuoi raccontare che calciatore ti colpito in particolare e perché?

Vedi, fare un nome solo è riduttivo per tutto quello che ho vissuto e visto a Milano. Ho percorso tutta la trafila delle giovanili …. Sono arrivato a dodici anni, a sedici mi allenavo già con la prima squadra al fianco di grandissimi campioni. Un nome … é difficile farne uno solo e non vorrei fare torti a qualcuno degli amici con i quali sono tuttora molto legato … parlo di Walter Zenga, Beppe Bergomi, Riccardo Ferri e Beppe Baresi con i quali ci sentiamo e ci vediamo spesso. E Karl Heinz Rumenigge e Daniel Passarella tra gli stranieri … Karl Heinz era tra i più forto attaccanti della Germania e Daniel era il capitano dell’Argentina che aveva vinto il Mondiale, loro due rappresentavano la novità nel calcio italiano. E poi ancora Marco Tardelli a fine carriera, un giovane Evaristo Beccalossi, Altobelli … tutti giocatori importanti che hanno lasciato un’impronta indelebile nel calcio italiano.

Leggo tra i tuoi compagni di squadra un nome molto conosciuto a Vicenza … Andrea Mandorlini. Che ricordo hai di lui?

Ho il ricordo di un ragazzo molto estroverso, con lui ho giocato due anni. Chiaramente non faceva parte di quell’élite di campioni, ha avuto comunque una carriera di prim’ordine in serie A. Come allenatore l’ho seguito i primi anni, mi hanno detto che con i suoi calciatori è una specie di martello pneumatico. Per me un allenatore si deve giudicare per quello che fa in settimana, non per la partita della domenica, quindi non mi esprimo su Andrea. So che ha lavorato anche da voi a Vicenza con Zanchetta, che è un mio carissimo amico e che mi ha sempre parlato molto bene di lui.

Dopo le esperienze a Catanzaro con Burnich e Di Marzio e poi al Pavia, approdi al Venezia di Zaccheroni, dove la squadra lagunare centra la promozione in serie B. Ti va di spendere due parole per descrivere questi tre allenatori?

Allora cominciamo con Burgnich, un allenatore preparato e una persona per bene. Era un uomo di scuderia Inter mi conosceva alla perfezione e mi volle lui a Catanzaro … purtroppo proprio con lui ebbi il mio primo gravissimo infortunio e mi spiace di non aver potuto dargli una mano, anche perché poi fu esonerato. Poi arrivò Gianni Di Marzio, una persona completamente diversa da Burgnich con il quale sono tuttora molto legato. E’ un grande professionista, una persona simpaticissima e cordiale. Con lui poche partite, per via del terribile infortunio ai legamenti della caviglia. Era un tipo caratteriale, sapeva tirare fuori il meglio dai suoi calciatori. Di Zaccheroni cosa ti devo dire … stiamo parlando di uno dei mostri sacri, ho avuto e ho con lui un rapporto straordinario, ci sentiamo spessissimo. Su di me ha avuto parole importantissime … sinceramente Zaccheroni è di sicuro l’allenatore al quale sono più affezionato. Io l’ho conosciuto all’esordio della sua carriera di allenatore e si capiva già che avrebbe fatto tanta, tanta strada.

E finalmente al mercato di novembre del 1991 eccoti arrivare a Vicenza, 17 presenze e 9 gol. Raccontaci com’è andata …. Come sei arrivato qui, chi ti ha voluto?

Mi hanno voluto Dalle Carbonare, Gasparin e Ulivieri. Io avevo un po’ di paura, sai … mi portavo addosso quel soprannome … il Doge … che mi avevano dato i tifosi veneziani, anche se sapevo che la rivalità storica era con il Verona. Con i lagunari avevo vinto il campionato, avevo fatto gol al Vicenza sei mesi prima … sinceramente non sapevo davvero come sarei stato accolto a Vicenza. All’inizio ero un po’ scettico, poi come in tutte le favole c’è stato il lieto fine .… Vicenza è la città che mi ha più amato e al quale sono più legato. Io non mi sono mai nascosto. Ho tifato e tifo ancora Lanerossi Vicenza … però ti dico la verità … all’inizio qualche timore l’avevo!

Ricordi tuo primo gol, un rigore contro lo Spezia? Ma non era Tonino Praticò lo specialista dal dischetto?

Certo che me lo ricordo! Allora, Ulivieri sapeva già che ero un rigorista e appena sono arrivato al Vicenza mi ha subito incaricato di questo compito al posto di Tonino … il grande Tonino. Avevo un modo molto particolare di battere i rigori … guardando il portiere diritto negli occhi. Funzionava. Probabilmente incutevo un senso di sicurezza … o forse era una forma di intimidazione psicologica … ma funzionava. Mi allenavo sempre con Giò Lopez … e Gino Sterchele in porta. Tant’è vero che quando mi ruppi i legamenti del ginocchio Gianni imparò a battere i rigori molto bene … e il rigorista diventò lui!

Campionato 1992/1993 … certo che a leggere i nomi dei tuoi primi compagni di squadra … Lopez, Di Carlo, Praticò, Gasparini, Ferrarese, Valoti, Viviani Sterchele, D’Ignazio… c’era già l’ossatura della grande squadra della promozione in serie B ….

Una grandissima squadra e un gruppo molto unito, eravamo sempre insieme anche fuori dal campo. Si era creata una specie di alchimia fra di noi, una vera magia. E in campo si vedeva. Ricordo che a quel tempo la società non navigava in buone acque ma noi siamo riusciti a compattarci attorno al nostro Presidente, che era in grave difficoltà … e a regalargli la promozione. E’ stata una soddisfazione incredibile.

La famosa cena di San Valentino … quando si decise di salvare il Vicenza dal fallimento

E’ vero, tutto vero, Abbiamo deciso noi! Io, Lopez, Viviani, Di Carlo, Valoti … nonostante non ricevessimo lo stipendio da sei mesi decidemmo di caricarci sulle spalle tutti e di andare a prenderci la sospirata promozione in serie B dopo tanti anni di purgatorio … e ce l‘abbiamo fatta!

L’anno successivo 1993/1994 infatti arriva anche la promozione nella massima serie, con una media in serie B di ben 10.366 spettatori.

Me lo ricordo bene. Ho un bruttissimo ricordo di quel campionato … a gennaio mi ruppi i legamenti del ginocchio. Rientrai a San Siro nella partita di andata di Coppa Italia contro il Milan … mi sembra che perdemmo 3 a 1. La domenica successiva contro il Bari al Menti sono entrato a mezz’ora dalla fine e ho sbagliato un rigore proprio sotto la curva sud … e pensare che avevo chiesto a Gianni Lopez di tirarlo, ma lui volle lasciarmelo … e ho preso il palo. E poi al ritorno di Coppa Italia qui a Vicenza contro il Milan davanti a ventimila spettatori ho avuto la grandissima gioia di tornare al gol. Gol iniziale di Savicevic e poi ho pareggiato io …

E poi … se ne va Ulivieri e te ne vai anche tu …. Perché? Proprio sul più bello mi viene da dire …. un vero peccato. Ti sarebbe piaciuto lavorare con Guidolin?

Ero in scadenza di contratto … quell’anno rientravo dall’infortunio al ginocchio e non stavo bene … avevo caviglie e ginocchia finite, mi rendevo conto che facevo sempre più fatica e temevo di non poter più dare il massimo, mi dispiaceva non giocare al meglio con la maglia del Vicenza. Sono andato a Livorno e pur con tanti problemi un piacere al Vicenza l’ho fatto: ho messo in vetrina un giocatore che voi conoscete molto bene e che ha fatto uno sfracello di gol … Stefan Schwoch. Diciamo che gli ho dato qualche buon consiglio! Poi nel 1996, alla quinta o alla sesta giornata di campionato è arrivata la rottura dei legamenti anche dell’altro ginocchio e la mia carriera è finita. Mi chiedi se mi sarebbe piaciuto essere allenato da Francesco Guidolin? Certo che sì, molto … è un allenatore molto, molto preparato! Sicuramente se non mi fossi fatto male sarei stato parte integrante di quella squadra … avevo già parlato del rinnovo del contratto con Pieraldo e avrei terminato la mia carriera a Vicenza perché noi cinque … Viviani, Di Carlo, Lopez, Praticò eravamo il gruppo storico …. Mi ero legato al Vicenza in un modo esponenziale. Ho incontrato Pieraldo e gli ho detto che a malincuore preferivo scendere di categoria perché non stavo bene e per vedere che cosa riuscivo ancora a esprimere … La vita è strana … sarei rimasto … sì …. e sarei ancora lì con voi adesso. Stavo pensando di comprare casa e di fare di Vicenza la mia città per la vita. Ma non me la sono sentita di deludere società e tifosi con un rendimento che non fosse adeguato all’amore che avevo per quella maglia e il legame che avevo con Pieraldo e Sergio Gasparin … sono stati tre anni favolosi, i più belli della mia vita carriera, sia come compagni, che come società, che come città.

Adesso devo costringerti a raccontarmi almeno un aneddoto sui tre anni a Vicenza, qualche segreto di spogliatoio che ancora non conosciamo …

Allora … magari qualcuno se lo ricorda anche …. siamo nel mio primo anno a Vicenza, Giocavamo la partita in casa contro il Leffe, una partita che noi dovevamo vincere a tutti i costi. Mi pare che dall’altra parte giocasse un giovanissimo Pippo Inzaghi. Bene, al 42mo del primo tempo sullo 0 a 0 c’è un rigore chiaramente su Nando Gasparini … perchè ti ricordi … li prendeva tutti lui … e Ciccio Artistico, che non segnava da cinque o sei domeniche, era nervosissimo. Io vado verso il dischetto nell’area sotto la sud, metto giù la palla ma lui mi blocca e mi dice “Ste, lo calcio io!” e io gli rispondo “Va bene calcia pure tu”. Mentre gli consegno la palla vengo verso il centrocampo e vedo Mister Ulivieri che è dentro il campo di cinque 5 metri e scuote la testa facendo segno di no. Allora io ritorno sul dischetto e dico ad Artistico “Ciccio, giarda che qui viene fuori un casino, guarda dov’è il mister …”, c’era Caltran che tentava a fatica di trattenerlo e gli ripeto “Ciccio lascia perdere guarda che viene fuori un casino” Lui mi risponde “Stai tranquillo Ste, io sfondo la porta!”. Era più che mai deciso a calciare il rigore e si dirigeva verso il dischetto con il pallone in mano. Renzo Ulivieri sbraitava verso di me dal centrocampo, ma ormai era fatta, la decisione l’avevamo presa. Ciccio parte, tira una sventola e prende la traversa, il pallone torna in campo, riparte il Leffe in contropiede e ci segna il gol. 0 a 1. Dopo tre secondi di gelo, l’arbitro fischia la fine del primo tempo. Ci stiamo avviando verso il tunnel che porta agli spogliatoi ma mi viene incontro Pieraldo che mi dice “Stefano, è meglio che tu non entri negli spogliatoi, resta fuori per favore” e io “Ma Presidente fa un freddo della Madonna!”. Ma lui mi ripete “E’ meglio che tu non entri!” Allora sono rimasto quindici minuti in panchina, mi hanno portato una coperta e del tè caldo e i piumoni così mi coprivo tutto, però non sapevo se sarei stato sostituito. Quando vedo arrivare i miei compagni, Caltran si avvicina e mi dice “Stefano … va in mezzo al campo se no il Mister ti ammazza!” Io parto, vado in mezzo al campo e solo a quel punto ho capito che non aveva sostituito me ma Ciccio Artistico. Inizia la partita, e Ulivieri è dieci metri dentro il campo che cerca il mio sguardo, mi chiama verso di lui e allora io … come un cocker … mi avvicino e Renzo mi dice “Doge, fammi vincere questa partita qua altrimenti tu non giochi più!”. Succede che faccio gol a dieci minuti dalla fine e poi Nando si procura un rigore dei suoi, il rigore l’ho segnato io e abbiamo finito 2 a 1. Non ti dico cosa mi ha detto Renzo, per una settimana mi ha ammazzato … Poi ci sarebbe un altro aneddoto, se hai modo di intervistare Alberto Briaschi fatti raccontare da lui … digli “Senti Alberto … il Doge mi ha detto di chiederti cosa è successo con quella punizione con l’Arezzo in casa, una punizione tirata da posizione impossibile vicino alla bandierina del corner mentre Renzo Ulivieri chiamava uno schema che avevamo preparato”. Questa te la devi far raccontare da lui però ….

Foto estrapolata dal libro di Tranquilllo Cortiana “L’urlo del Menti”

Il Vicenza è stata la squadra in cui ti sei fermato più a lungo. Cosa ti ha lasciato la città, la gente? Sai perché ti ho fatto questa domanda? Il grande Giancarlo Salvi nella sua ultima intervista, che assomiglia molto a un testamento spirituale, dichiara che se un giocatore non rende bene a Vicenza è più o meno uno scarsone … Vicenza è una città che lascia vivere e lavorare senza grosse pressioni se non l’affettuoso ma sempre discreto abbraccio ideale dei tifosi …

Queste parole, dette da un simbolo del Vicenza come il capitano, sono la pura verità. Vicenza è una città che ti fa lavorare, che ti da entusisamo, che ha un blasone e una storia importanti, che annovera grandissimi giocatori campioni tra i quali due palloni d’oro del calibro di Rossi e Baggio. C’è poco da commentare o da aggiungere … Se dopo trent’anni amo ancora questa città e questi colori ci sarà pure un motivo! Quando sono venuto qui ero in una situazione particolare, potevo essere amato tantissimo o odiato tantissimo. Ti dico questo, lo scorso Natale su facebook ho fatto gli auguri ai miei cari, al mio gatto … e al Lanerossi Vicenza, la squadra del mio cuore. Non mi sono mai nascosto. Il primo risultato che guardo è sempre e solo il mio Vicenza.

Mi permetti di farti qualche domanda sulla tua vita personale? Hai smesso a soli 30 anni, che cosa ti è successo … non sopportavi più il dolore e lo stress dei continui infortuni oppure alla fine ha vinto la voglia di metterti in gioco in un ruolo diverso, come allenatore? Leggendo la tua storia calcistica mi viene in mente il calvario di Baggio.

E’ molto difficile rispondere a questa domanda. Ho smesso presto perché soffrivo troppo per i terribili dolori alle ginocchia … quando leggo le interviste di Roby mi rivedo nella sua sofferenza. Noi calciatori siamo abituati ed esposti a prendere tanti calci … ma tutto ha un limite. Quando ti rendi conto di non riuscire più ad allenarti perché hai male … tante domande te le fai. Ho mollato perché le mie ginocchia hanno preso la decisione al posto mio. Ormai non potevo più fare quello che volevo, meglio smettere.

Ma forti si nasce o si diventa?

Forti secondo me si nasce. E’ uno stimolo mentale … la trasformazione di quello che è la tua carriera, la tua vita poi passa attraverso degli episodi. Io credo che un giocatore forte nasce forte.

A chi devi dire grazie?

Devo dire grazie a tutti e a nessuno. Grazie alla mia famiglia che mi ha permesso di andare, a dodici anni, a vivere da solo a Milano per inseguire il mio sogno. Agli allenatori che ho avuto perché tutti mi hanno insegnato qualcosa. A tutti i miei compagni che nel gioco di squadra hanno esaltato le mie capacità. E anche a quelli che mi hanno sopportato … ricordo quando parlavo con Mimmo Di Carlo, Fabio Viviani, Aladino Valoti, che mi dicevano sempre “Doge, noi dobbiamo correre per te!” era una forma di battuta però vedi … che grande rapporto di stima e amicizia? E poi devo dire grazie a me … il sogno di quel bambino di Sale di diventare calciatore e giocare in serie A … si è avverato!

Spiegami una cosa. Quand’è che un calciatore capisce di poter essere anche un buon allenatore?

E’ una cosa che si capisce solamente quando si prova. Sono due ruoli completamente diversi. Non sempre un calciatore che ha giocato ad alti livelli sa essere anche un grande allenatore. Un buon allenatore è quello che sa tirare fuori il meglio dai suoi ragazzi. Sono due ruoli dello stesso mondo … ma completamente diversi! Vedi, dipende anche da dove sei. Mi spiego meglio … in certe piazze si allena, in altre si gestisce. Zaccheroni, per esempio, allenava l’Udinese e gestiva il Milan. E stiamo parlando della stessa persona. Bisogna sempre capire i tempi e i momenti.

Foto estrapolata dal libro di Tranquilllo Cortiana “L’urlo del Menti”

Lavorare con i giovani non è facile oggi. Mancanza di disciplina, di educazione e di spirito di sacrificio … se ne lamentano tutti, sia nella scuola che nel calcio. E purtroppo manca anche il dialogo. Voi eravate un gruppo di amici, vi frequentavate con le rispettive famiglie. Adesso al posto dei valori tradizionali e umani c’è molto poco, si comunica solo con whatsapp e se si deve spiegare chi sei si scrive un post sui social. Ma forse neanche … meglio ascoltare la musica e vivere le emozioni che raccontano gli altri, prenderle in prestito e farle proprie. Questa è la fortuna di Vasco Rossi e Ligabue. Tu per esempio, come sei riuscito a lavorare con i ragazzi di oggi nelle giovanili dell’Alessandria?

Io mi sono trovato molto bene, credo che allenare i giovani di una società calcistica professionistica sia molto bello e gratificante se riesci a trasmettere quello che hai dentro. I ragazzi sono delle spugne, nel senso che assorbono tutto quello che dai loro. L’unica cosa è che bisogna stare attenti a non fare danni. Io ho cercato di insegnare loro cose vere, mettendo in pratica gli insegnamenti che a mia volta avevo ricevuto nelle giovanili dell’Inter … Sono padre di un ragazzo di 24 anni, mi spaventa il mondo dei giovani … viviamo in una società che fondamentalmente esprime troppo pochi valori, purtroppo. Noi vivevamo in un altro tempo, avevamo poco ma tanti valori importanti … loro hanno tutto ma pochi valori. Funziona tutto male e diventa sempre più difficile nelle attività sportive riuscire a combinare qualcosa di buono. Adesso è diventato di moda parlare dei settori giovanili, dire che ci sono troppi stranieri nel campionato italiano. L’esclusione dai prossimi Campionati Mondiali della nostra Nazionale è un bel grido di allarme. Bisognerebbe ritornare a giocare con solo due stranieri, come negli anni 80. All’Inter come ti ho già detto giocavano Rumenigge e Passarella, a Napoli Maradona e Careca, a Roma Falcao e Cerezo, a Udine Zico, al Milan Van Basten e Gullit. Gli stranieri sono importanti perché portano tradizione, cultura, metodo, disciplina e una mentalità diversa. Ma, secondo me, i settori giovanili devono rimanere italiani … non posso pensare che una squadra Primavera giochi con quattro italiani. Adesso purtroppo è così …. ma non so se ci sarà la forza e la volontà di cambiare. Bisognerà lavorare tanto sotto questo aspetto altrimenti diventa solo business, diventa solamente una grande vetrina, ma con le vetrine non si vince e non si cresce.

Pensa che adesso vengono organizzati dei corsi dedicati ai più giovani (dai dieci anni in su, pensa te…) per migliorare l’autostima e imparare a reagire ai fallimenti? Quasi un’ammissione che le nuove generazioni non sono più in grado di lavorare da sole su se stesse o che la scuola e la famiglia riescono a proporre validi modelli educativi e comportamentali …. compito che secondo me è stato delegato in parte al mondo del calcio. Mi sbaglio?

E’ un dramma quello che stiamo vivendo … la famiglia è e deve rimanere il fulcro centrale della vita di un giovane. Il calcio non deve sostituirsi alla famiglia, però può essere una forma di insegnamento e di disciplina. Una volta noi ascoltavamo i nostri allenatori. Al giorno d’oggi i ragazzi ascoltano i genitori che vogliono sostituirsi agli allenatori di calcio o di tennis e magari si dimenticano di fare gli educatori in casa propria … Insomma … ognuno deve svolgere il proprio ruolo.

Il calcio di oggi non è più lo stesso calcio di quando giocavi tu. Sono profondi i cambiamenti sia a livello tecnico che … diciamo così … sociale. Si è persa persino la sacralità dello spogliatoio …. una volta luogo esclusivo dei giocatori dove venivano custoditi i segreti della squadra. Oggi tutto quello che succede viene fotografato e subito pubblicato sui social …

Si … è cambiato il mondo. Ai nostri tempi non c’erano i telefonini, i computer. Oggi tutto è finalizzato al farsi vedere, al mettersi in mostra. Ormai si sa tutto di tutti, ed è sbagliato. Probabilmente è proprio il business che ti porta a voler sapere cosa fa questo o quel campione la sera prima, o quanti tatuaggi si è fatto, se va d’accordo con la fidanzata o se invece la tradisce. Oggi funziona cosi. Secondo me è un male ma ormai tornare indietro è impossibile …

Ma anche i giocatori non sono più gli stessi di venti o trenta anni fa …

I giocatori sono le specchio dei tempi … sono convinto che se fossi nato trent’anni dopo sarei come loro. Calcio diverso, valori diversi, famiglie diverse. Il calcio è in mano alle televisioni … E’ un mondo in cui non mi riconosco, che faccio fatica a concepire. Ti ripeto, noi veniamo da un altro pianeta … è lo stesso sport ma lontano anni luce.

E quest’anno con il Lomellina come sta andando?

E’ una squadra di giocatori molto giovani, per la maggioranza ragazzi che avevo con me all’Alessandria. Si fa molta fatica. L’obiettivo è quello della salvezza, spero di farcela ….

Foto estrapolata dal libro di Tranquilllo Cortiana “L’urlo del Menti”

Stefano … mi dai l’idea di un uomo che teme di annoiarsi, che ha bisogno di stimoli sempre nuovi per dare un senso a quello che fa. Un guerriero sempre pronto a combattere per una giusta causa. O sbaglio?

Diciamo che non ho peli sulla lingua, sia da giocatore che ora che non gioco più. Dico sempre quello che penso. Da giovane e anche adesso, che giovane non sono più. Un guerriero, sì nella vita e nel calcio. Diciamo che il pallone ha fatto uscire la mia grinta e la mia personalità. Questi due aspetti caratteriali mi hanno sempre aiutato. Come ti ho detto prima a dodici anni ero già andato a vivere da solo, ho dovuto arrangiarmi senza l’aiuto della famiglia e crescere in fretta. La forza del mio carattere mi ha comunque aiutato a uscire da tante situazioni difficili ….

Hai un sogno nel cassetto? Qualcosa che non sei ancora riuscito a realizzare?

Io credo che qualunque essere vivente che arriva a un certo punto della vita si fa la stessa domanda. Rifarei tutto quello che ho fatto? Se potessi riavvolgere il film della mia vita ripeterei tutte le mie scelte … in amore, nella professione, nella famiglia, con gli amici. No, non ho un sogno nel cassetto. Cerco di vivere nel miglior modo possibile e di essere sereno con me stesso … ho un figlio meraviglioso e me lo godo.

So che segui sempre con affetto il tuo Vicenza. Che idea ti sei fatto sulle desolanti vicende societarie degli ultimi anni? Il nostro territorio, l’operosa e ricca locomotiva del nordest, non ha più nulla da dare allo sport? Penso ai fallimenti di Treviso, Triestina, Padova e ora anche Vicenza …. Come mai questa disaffezione degli imprenditori verso il calcio, dobbiamo rassegnarci a proprietà esclusivamente straniere?

Mi è difficile rispondere a questa domanda perché vivo a 250 km da voi e non sono vicentino. Credo che non sia una piaga solo veneta comunque. Oggi purtroppo poche cose funzionano. Da tifoso quale sono vorrei che arrivasse l’uomo più ricco del mondo a riportare il nostro Vicenza in serie A , è davvero triste la situazione che si è creata ….

Ti lascio lo spazio per i saluti ai tifosi biancorossi che ancora ti ricordano con stima, affetto e riconoscenza.

Gli amici che ho su facebook sono per il 90% tifosi del Vicenza. Tutti sanno come la penso. Ho sempre dichiarato con orgoglio che la società che ho amato e amo di più è il Lanerossi. Quindi … un saluto e un abbraccio a tutti i tifosi che sanno quanto amo la vostra città … Un saluto particolare al Presidente … lui sa il bene che gli voglio, ogni tanto ci sentiamo, è una persona straordinaria e lo ha dimostrato con i fatti e non con le chiacchiere. Vi prometto che verrò presto a Vicenza … in occasione della presentazione del libro di Vignoni il prossimo marzo. La mia foto pubblicata sulla copertina la ritengo con orgoglio una specie di premio alla carriera …. A presto allora!

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Articolo scritto dalla Redazione di Biancorossi.net