Ci sono delle persone che incarnano nel loro nome la storia del nostro amato Lane. Uno di questi, dopo aver dato tutto sé stesso in campo si è dimenticato – alla fine della sua straordinaria esperienza calcistica vicentina – di togliersi la maglia biancorossa con la R sul cuore. E infatti è rimasto – con la spada sguainata come un cavaliere alle Crociate – a combattere per difendere il Santo Graal ovvero il vessillo del Real Vicenza. Un amore immenso il suo, di cui non è possibile dubitare. Sì, lo so cosa state pensando … certe sue esternazioni a qualcuno di voi possono apparire eccessive, ma lui è uno che comunque ci mette il nome e la faccia in tutto quello che fa e che dice. Vediamo dunque se sono capace di fare un’intervista a cuore aperto con la parte privata del più fumantino degli ex giocatori del Vicenza, il primo tifoso biancorosso … Giorgio Carrera. Sedetevi comodi, c’è parecchio da leggere! (pubblichiamo oggi la prima parte, la seconda arriverà mercoledì prossimo, ndr)
Buongiorno Giorgio. Sei nato a Pavia nel 1955. Possiamo dire che a quei tempi non avevamo quasi niente ma avevamo tutto? In compenso abbiamo imparato a desiderare le cose, a coltivare la pazienza e a saper aspettare. A metabolizzare velocemente un no dei genitori, anche se ingiusto. Penso che questa disciplina ti sia servita anche nel calcio …. o sei nato ribelle?
Buongiorno Anna. Si, sono nato a Pavia il 25 gennaio 1955. Una famiglia povera la mia, avevamo meno di niente, ricordo che spesso andavo dalla nonna a chiedere 100 lire per comprare un po’ di mortadella e mangiavamo in tre fratelli. Papà lavorava come meccanico specializzato delle macchine da cucire Necchi e girava tutta l’Europa, sempre bellissimo ed elegantissimo. A casa c’ero io a fare da padre ai miei fratelli minori. Per quanto riguarda la virtù della pazienza io non ne ho avuta mai … e men che meno sono uno che sa accettare un rifiuto. Non ho mai avuto disciplina, però sono un amante delle regole e della verità. La verità sempre e comunque. Pensa che a 14 anni ho affrontato a muso duro persino mio padre, che rimaneva spesso lontano dalla famiglia per motivi di lavoro …. ero solo un ragazzino ma lavoravo già in fabbrica, in una ditta che produceva resistenze elettriche, ma avevo capito molto bene cosa stava succedendo tra i miei. Avevo ben chiaro il concetto di famiglia e non volevo perderla. Fatto sta che dopo quel confronto così acceso con mio padre, lui e la mamma sono rimasti insieme fino a quando lei è morta.
A quell’epoca il calcio era uno sport alla portata di tutti, si giocava per strada o negli oratori e necessitava solo di due cose: la passione di un ragazzino e un pallone. E non servivano whatsapp o i social per organizzare una partita con gli amici ….
La partita con gli amici era anche uno contro uno. Oppure quando si giocava in cinque, si mettevano i tre bravini da una parte e io e il più scarso dall’altra. Era un modo di socializzare e un modo per divertirsi. Sai, io non ho mai visto il calcio come una possibile professione. Avevo conseguito il diploma di terza media, il primo anno di ragioneria mi avevano bocciato. Non ero comunque molto portato per gli studi, che cosa potevo fare se non finire a lavorare in fabbrica? Ricordo ancora quella volta che l’insegnante mi diede cinque e mezzo nel tema di italiano, dove avevo parlato della figura di Gigi Riva. Mi affascinava la sua storia, ero rimasto molto colpito dalle tristi vicende dell’infanzia, dal suo essere nello stesso tempo un grande campione ma anche un uomo di profondi valori morali, che non aveva abbandonato la sua squadra del cuore nonostante strabilianti lusinghe (un miliardo e nove giocatori) del Presidente della Juventus che lo voleva a tutti i costi a Torino … Ho fatto lo stesso io con il Vicenza, con meno clamore. Ci sono cose che non hanno prezzo.
Da dove nasce il tuo carattere così forte, che ti ha sempre spinto a ergerti paladino contro ogni tipo di ingiustizia o sopruso, nell’eterna lotta del bene contro il male?
Questo carattere – che mi ha danneggiato in un modo così evidente nella vita – per me è una gioia e una soddisfazione infinita. Ho capito chi ero grazie a mio zio Luciano, che lavorava in fonderia e che purtroppo morì giovanissimo … gli si seccarono i polmoni. Un giorno andai a casa sua e gli chiesi “Zio, mi puoi dire a chi cavolo assomiglio, possibile che ogni volta che un mio compagno ha un problema io lo risolvo ma rischio di mettermi sempre nei guai?” lui mi rispose “A tuo nonno Ernestino. Lui per gli amici avrebbe dato la sua stessa vita!” “Grazie zio”, gli risposi, “adesso so perché sono venuto al mondo”.
Per chi come te ha provato il duro lavoro in fabbrica e un bel giorno si trova catapultato a giocare nella squadra della sua città in serie D, la fame di vittoria viene per forza! Mi domando, ma gli stimoli giusti li ha dentro di sé il giocatore o vengono da fuori?
Quando mi citi le parole stimoli e motivazioni … io non so di che cosa stai parlando. All’inizio della mia carriera mi sono trovato a giocare che pesavo 40 kg, contro avversari di 35/30 anni ben più grandi di me, eppure sembravo un veterano. Il proprietario della fabbrica dove lavoravo era anche il Presidente del Pavia Calcio. Vedi i casi della vita? Mi lasciava tutti i martedì e giovedì pomeriggio liberi per gli allenamenti e quando sono passato titolare in prima squadra avevo anche il lunedì di riposo. Ti racconto solo questo, com’è che ho capito che ero bravo … una volta ci allenavamo dietro alla porta e aspettavamo il mister. Tutti gli altri parlavano tra di loro, io invece continuavo ad allenarmi da solo contro il muro. Abitavo in centro a Pavia e in mancanza di altri spazi passavo il tempo così … a palleggiare contro il muro. Fatto sta che durante una partita, alla prima punizione da battere mi sono offerto di tirala io, il pivellino sedicenne! Il mio compagno era molto più vecchio ed esperto di me, aveva giocato nell’Inter, mi lasciò la palla e io segnai con un tiro perfetto. Pensa che ero timidissimo … spesso negli spogliatoi mi chiedevano “Giorgio hai la morosa?” diventavo rosso bordeaux … ma quando entravo in campo non ce n’era per nessuno. Io non ho mai fatto fatica a giocare, mi sono sempre divertito da morire. Durante la mia carriera agonistica più di qualcuno che non mi conosceva mi ha chiesto “Lei che lavoro fa?” io mi mettevo a ridere … e la mia risposta era sempre la stessa “io gioco …. gioco a calcio e mi pagano pure!”. Non l’ho mai chiamato lavoro, perché so cosa vuol dire lavorare a 315 lire l’ora, oltretutto per risparmiare andavo in fabbrica in bicicletta ….15 km all’andata e 15 km al ritorno. E in più ho fatto da padre ai miei due fratelli più piccoli, perché come ti ho detto prima mio papà era sempre in giro per l’Europa.
Giorgio, sei sempre stato insofferente alle imposizioni ….. com’é stato il tuo rapporto con gli arbitri e i Presidenti delle squadre in cui ha giocato?
L’arbitro per me era sacro, se corretto. Quando non lo era ci pensavo io. Sono ovviamente stato denunciato a Milano perché avevo insultato l’arbitro Pieri di Genova che era stato diciamo … un po’ birichino … il lunedì i giornali sportivi riportarono la mia intervista dove dicevo “abbiamo giocato in dodici contro nove … sarebbe stato da sparare all’arbitro”. Andai al processo a Milano e ribadii le mie dichiarazioni al giudice, confermando anche i punti e le virgole. E dissi che mi avessero chiesto che condanna mi sarei inflitto da solo, avrei risposto sei mesi. Cosa successe in realtà? 200 mila lire di multa e nemmeno una giornata di squalifica.
E con i Presidenti?
Beh, tu lo sai già, sono stato l’unico al mondo ad apostrofare Giussy Farina con un “testa di c****” , quando licenziò Gibì Fabbri. Rilasciai un’intervista a Giorgio Lago sulla Gazzetta dello Sport dove ribadivo questo concetto. Il giorno dopo al Menti, ricordo che il ragionier Giannotti scese dalla palazzina uffici e mi comunicò che il Presidente voleva parlarmi subito. Ricordo che Ernesto Galli mi ammonì “Giorgio attento, guarda che questo ti fa smettere di giocare!” e io gli ho risposto “Ma che c**** me ne frega, torno a lavorare in fabbrica!”. Mi fece i complimenti anche il cav. Mantovani. Mentre camminavo nel piazzale incontrai Gibì con la Gazzetta dello Sport in mano … mi disse che aveva letto l’intervista, buttò per terra il giornale stizzito e lo calpestò, temendo una punizione severa ai miei danni. Quando fui davanti a Farina … dire che era un agnellino è poco, mi disse che voleva parlarmi, che voleva spiegarmi … Non riuscii proprio a trattenermi … gli urlai in faccia che lui e tutti i suoi dirigenti erano delle teste di c****. Mi dispiace solo che quell’intervista di Gianmauro Anni uscì nella pagina dedicata al calcio triveneto e non su quella nazionale. E quando giocavo a Carpi a 27 anni, mi arrivò un telegramma che recitava “Spero che con il passare degli anni tu possa ricordare solo il meglio auguri per tutto. Giussy Farina”. Pensavo che fosse uno scherzo di Salvi … ho dovuto chiedere un po’ in giro per capire che non era stato il buontempone di Giancarlo … sempre propenso agli scherzi. Giussy era, ed è tuttora, un uomo di grandissima personalità e carisma che non si fa intimidire da nessuno e al quale tutti portano un grande rispetto. Provateci voi a dare della testa di c*** a Giuseppe Farina. Io l’ho fatto a 23 anni!
Come tutti gli umani hai pregi e difetti. Ma un cuore generoso e altruista come il tuo è davvero molto raro. “Il bene si fa e non si dice”, recita un detto popolare … noi però oggi facciamo uno strappo alla regola ….
Allora ti racconto la storia di Nara Valle. Sono venuto a conoscenza delle violenze che subiva Nara quando aveva sette anni. Ormai era destinata a una morte certa per le continue crudeltà da parte della madre, che era arrivata persino a bruciarle le mani. Indovinate chi andò – a soli 22 anni quando ne dimostravo sì e no sedici – a denunciare la situazione ai Carabinieri …. Ho qui la lettera che mi ha scritto il 28 maggio 2008, in risposta a un mio messaggio, inviatole dopo che l’avevo vista in televisione su RAI 3 a raccontare da chi era stata salvata. Ti leggo qualche passo della lettera di Nara … “mi piacerebbe poter incontrare ancora tua moglie e conoscere i tuoi figli, che spero seguano l’esempio di lealtà e verità che la tua persona insegna. Sono orgogliosa e felice che tu abbia tirato fuori la rabbia al posto mio, dandomi un’altra possibilità di vita e di gioia”. Questa ragazza è viva perché Giorgio Carrera non ha preso paura di fronte al primo rifiuto dei Carabinieri di credere alla mia versione dei fatti. Mi sono rivolto allora al suo superiore e all’allora Questore di Vicenza – e mi dispiace di non ricordarne il nome – che mi ha aiutato a portarla via da quella madre sciagurata. In seguito Nara è stata adottata da una meravigliosa famiglia vicentina. Sono stato invitato al suo matrimonio e quando ho guardato il crocefisso ho pensato “Meno male che mi hai fatto cosi testa di c**** altrimenti oggi non ci sarebbe stata Nara sull’altare e nemmeno la piccola Valeria, sua figlia”. Nara Valle è stato il gol più bello di tutta la mia vita.
Il Real Vicenza e Giorgio Carrera. Cominciamo proprio dall’inizio, quando ti è arrivata la notizia che La Reggiana ti aveva ceduto al Vicenza …. conoscevi già la piazza o la città?
Ero stato ceduto dal Pavia alla Reggiana grazie all’interessamento di Bruno Giorgi, che era pavese come me e che intercedette con i miei dirigenti. Vicenza città non la conoscevo, ma ovviamente ero a conoscenza dei grandi trascorsi calcistici del Lanerossi. Il primo contatto fu proprio l’incontro Reggiana vs Lanerossi Vicenza, in cui io non giocai perché infortunato. Mi rimase impresso un giocatore …. Luciano Marangon. Chi è questo caschettino biondo, pensai …. un vero fenomeno… correva come un pazzo e bloccò il nostro Capitano e ala destra Sereno Passalacqua che andava via come una scheggia. Questo ragazzino non solo lo marcava, ma ripartiva. L’unico difetto … buttava troppi palloni in tribuna. Ci pensò Gibì Fabbri a correggergli la mira! Luciano aveva una capacità polmonare impressionante, poteva continuare a correre non solo 90 minuti … ma tre giorni di fila. E fu merito di Gibì la sua trasformazione in un grande giocatore, una serie infinita di ripetizioni in allenamento … scendere sulla fascia e crossare. Quando Galeone venne a studiarci, dopo cinque minuti buttò via carta e penna e disse a Gibì “Ma qui c’è solo il pallone!” E Gibì gli rispose come solo lui sapeva fare “Scusa, perché tu la domenica con cosa giochi?”. Questa frase é il calcio, é il concetto con cui io sono nato, cresciuto e diventato calciatore. Chiedete a tutti gli allenatori delle squadre in cui ho giocato se mi hanno mai visto una volta buttar via il pallone. Con Gibì dovevamo essere noi i padroni della palla, non viceversa. Comunque tornando alla notizia della mia cessione al Lanerossi quell’estate ero in viaggio di nozze. Una mattina leggo la “Gazzetta dello Sport” che riportava la notizia “Carrera al Lanerossi Vicenza”. Io pensavo di essere ceduto al Torino, ero stato segnalato ai dirigenti ma non ci fu feeling tra me e Radice e ci andai solo qualche anno dopo. Comunque dissi a mia moglie: “Paola … facciamo le valigie, andiamo a Vicenza”. Ricordo molto bene l’articolo … era scritto “Carrera va al L punto R punto Vicenza”. Della città di Vicenza non conoscevo nulla, se non il blasone della sua squadra … il Lanerossi!
La vita ti ha fatto crescere in fretta e ti ha fatto diventare molto presto marito e padre….
Mi sento come quel personaggio del film di Brad Pitt … “lo strano caso di Benjamin Button”, in cui il protagonista vive una vita a ritroso, nasce ottuagenario e via via, con il passare degli anni, diventa sempre più giovane per ritrovarsi nella vecchiaia un neonato. Io sono nato vecchio e morirò bambino. Come ti ho detto prima, io a 14 anni ero il papà dei miei fratelli. Li seguivo, li spronavo a studiare, ad aiutare la mamma nelle faccende di casa. Quando ho lasciato la famiglia per il calcio, sono cominciati i problemi e mio fratello Maurizio è purtroppo caduto nel baratro della droga. Ho cercato in tutti i modi di farlo ragionare …. mentiva alla mamma e anche a me…. finché una notte è crollato, ha chiesto il mio aiuto e ha accettato di essere inserito in una Comunità. Ha contratto l’AIDS ed è vissuto ancora altri dieci anni grazie alle nuove terapie, ma credimi … a distanza di tempo dico che sarebbe stato meglio se fosse morto subito senza essere aiutato dai farmaci a tirare ancora avanti, è stato uno strazio per tutti. Io sono forte, lo sai, eppure dovevo prepararmi psicologicamente a vedere mio fratello, era ridotto a uno scheletro … una sofferenza indicibile e indescrivibile la sua.
E la tua vita di marito e padre?
Mi sono fidanzato con Paola che eravamo giovanissimi. Una sera sono andato con degli amici a in una discoteca di Guastalla, per ascoltare un po’ di musica, ma mi annoiavo. Gli amici mi hanno presentato un paio di ragazze … l’ultima era Paola. Bang … è stato amore a prima vista! Siamo rimasti a chiacchierare del più e del meno e una volta risalito in macchina con gli amici ho dichiarato solennemente ”Se riesco ad uscire con lei, la sposo entro l’anno del militare” Era l’ottobre del 1975 e da lì in poi ho fatto di tutto per vederla e sentirla al telefono. L’allenatore della Reggiana mi diceva sempre “Se ti avessimo fatto pagare tutte le multe che ti abbiamo dato in quel periodo, avresti dovuto darci milioni di lire”. A mia insaputa andò a parlare anche con mio padre, per cercare di indurmi a essere più rispettoso delle regole. Colsi l’occasione per dirgli a bruciapelo “Trovami un ristorante perché mi sposo”. Un matrimonio lampo, celebrato dal mio parroco a Pavia il 10 luglio del 1976, eravamo innamoratissimi e la lontananza era ormai insopportabile. Io avrei compiuto 18 anni a ottobre, lei ne aveva 17. Ci siamo sposati con la dispensa del Vescovo perché entrambi minorenni. Paola era bellissima, da togliere il fiato. Poi, dopo i tre anni passati a Vicenza, é nato Davide, a Torino. Poi è nata Chiara. Davide ha avuto una sola fortuna nella vita … quella di assomigliare caratterialmente a sua madre. Invece Chiara … assomiglia a me. Recentemente è stata un mese in Sierra Leone per un progetto di volontariato. E’ una ragazza fantastica!
Tu hai conosciuto tante persone nel corso della tua carriera …. c’è qualcuno al quale ti senti di dovere delle scuse?
L’unica persona alla quale devo delle scuse è mia moglie Paola. Sono stato birichino, lo so. Lei è una donna meravigliosa, l’unica persona al mondo che ho amato veramente e l’unica alla quale devo chiedere scusa. Tu mi conosci e sai com’è il mio carattere. Si è chiacchierato tanto dei miei tre anni a Vicenza …. sulla vita allegra e gaudente di noi calciatori. Tu mi conosci bene, lo sai che mi sono sempre messo a disposizione di tutti. Io non ero il giocatore che andava alle cene dei club e dopo dieci minuti sbuffava di noia. Io dicevo a Gibì Fabbri “Mister bevo l’ultimo prosecchino poi vengo a casa” e lui mi rispondeva “Giorgio, fermati pure”. Poi tornavo a casa alle cinque di mattina e magari mia moglie doveva anche accudirmi perché stavo male. Io sono arrivato a Vicenza astemio, bevevo solo Coca Cola e Fanta. Dopo un mese ero un mezzo alpino. Inizialmente andavo alle cene con l’auto dei miei compagni di squadra, poi però per rimanere più a lungo a parlare con i tifosi, ho imparato ad andare con la mia macchina, per non avere orari fissi di rientro. Le cene si tenevano sempre il martedì … bene, il mercoledì mattina all’allenamento l’ostacolo più alto che Gibì metteva in campo era di trenta centimetri. A me diceva “Giorgio prendi la palla e sciogliti”. Poi quando cominciava la partitella mi chiedeva “Giorgio come stai?” e io rispondevo “Da Dio!”. Mi buttava la casacca e incominciavo a giocare … Sono sempre stato a disposizione della gente. Quando andavo a fare una passeggiata in centro con mia moglie era una fermata continua …. I ragazzi più giovani non sanno che cos’era Corso Palladio ai nostri tempi Anna … uno spettacolo. Paola non capiva come mai dessi retta a tutti, rispondendo sempre alle domande dei tifosi. Io ho sempre cercato di spiegarle che regalare gioia alla mia gente rendeva felice anche me. Ed è per questo che io ho avuto uno splendido rapporto con la tifoseria. Ma attenzione, io non sono amico di tutti. Io seleziono le persone in base ai valori morali … no ai falsi, no ai corrotti, no ai venduti, no agli opportunisti. Nel campionato 1987/1988 sono stato il capitano della rinascita del Palermo dopo il fallimento dei mesi precedenti, con la squadra allenata da Pino Caramanno che riuscì a ottenere la promozione dalla serie C2 alla C. Mi hanno detto che se fossi stato dalla parte del male Totò Riina mi avrebbe fatto una ****. Io ho scelto l’altra sponda. E quando gli ultras mi hanno accusato di essere un mafioso per aver appoggiato lo sciopero indetto giocatori rosanero, non ho avuto problemi ad affrontarli. Da solo, uno contro cinquemila. Ho fatto aprire il cancello dello stadio e mi sono fatto avanti, andando a parlare con il loro capo. Hanno capito subito che avevo i cosiddetti e mi hanno rispettato per il mio coraggio, mi hanno abbracciato e baciato … per loro ero diventato sacro. Guarda che io a Palermo ho fatto guadagnare qualcosa a tutti … dalla signora che lavava le maglie, a suo figlio, a quelli che pulivano lo stadio. Ogni partita ho autotassato i giocatori di 25.000 lire e alla fine del campionato ho consegnato una busta al dottor Roberto Matrazia con un milione di lire. Era una bella somma a quell’epoca …. “Roberto” gli ho detto “vatti a fare un bel viaggetto con la tua famiglia. Perché noi siamo così.” Perché io sono così, non faccio promesse a vanvera. Sai, a volte mi guardo allo specchio e mi dico: “ma vuoi imparare a farti i c*** tuoi, me che te ne importa? Potresti vivere tranquillo, hai la tua pensione, qualche soldino da parte, hai fatto star bene tre famiglie …. Fregatene!” Vuoi che ti dica quanti soldi devo recuperare per aver aiutato qualcuno? Meglio di no ….