Una retrocessione non è mai casuale, ma figlia di errori che non nascono nell’ultima partita di campionato o di spareggio. Così anche la retrocessione del Vicenza ha tanti padri, che noi abbiamo da sempre e senza mezzi termini indicato come responsabili di uno sfacelo che va ben oltre il salto nel buio in Lega Pro. Oggi non li elenchiamo per l’inutile vanità del “noi l’avevamo detto”, ma perché senza analisi del passato non ci sarà futuro. E forse perché, dopo esserci morsi la lingua e aver posato la penna in tante occasioni, qualche macigno dalle scarpe abbiamo voglia di levarcelo.
L’attore principale dell’attuale fallimento, che una eventuale riammissione in carta bollata alla serie cadetta non cancellerà, è Sergio Cassingena. L’immagine della coppia presidenziale che corre leggiadra verso il centro del campo di Gallio in occasione del primo test amichevole della stagione, fra mille palloncini bianchi e rossi che volano in cielo, lascerà nei ricordi dei tifosi e degli osservatori di faccende biancorosse un senso di presagio del destino incombente. La deprimente (per una società professionistica) e al tempo stesso comica improvvisazione di quella giornata, in cui Paro si chiamava Domenico e la parola d’ordine era Entusiasmo (nella foto), è la perfetta icona della gestione raffazzonata, incompetente, inadeguata e priva di passione, che dura dalla bellezza di otto anni, portata avanti dall’ex presidente. Otto anni di nulla sportivo, di gestioni contabili allegre, di difficoltà economiche perenni, solo parzialmente mascherate, nelle ultime stagioni, dagli sforzi di un direttore dell’area tecnica messo alla porta senza tanti complimenti poco più di un mese fa. Reo, Cristallini, di non avallare l’ultima scelta scriteriata dell’ex presidente e del suo dilettante successore, il dott. Massimo Masolo: il re-ingaggio di un tecnico 62enne, con la maggiorazione di un premio salvezza da 180mila euro e la promessa di un contratto da 1,5 milioni lordi di euro in caso di permanenza in B.
L’abile comunicatore Gigi Cagni è il secondo padre della retrocessione. Abbiamo parlato dei suoi limiti, e di come a nostro avviso abbia sfruttato a suo favore il lavoro di Baldini e Beghetto, in tempi non sospetti. Oggi non ci sentiamo di sparare sulla Croce Rossa. Certo, da un uomo tutto d’un pezzo come lui, ci saremmo aspettati un finale da hombre vertical, pronto a mostrare il petto anche nel momento della sconfitta. La vicinanza con Cassingena, evidentemente, non gli ha fatto bene e ha fatto sapere ieri sera che non parteciperà, come era previsto, alla puntata di domani di “Rigorosamente calcio”. Così non spiegherà mai (se non probabilmente in un’intervista a qualche scodinzolante giornalista locale sempre attento a non guastare rapporti importanti) i motivi del calo repentino e verticale della sua squadra da Natale in poi, e nemmeno quelli della retrocessione. Non svelerà mai (se non probabilmente in un’intervista a qualche scodinzolante giornalista locale sempre attento a non guastare rapporti importanti) i retroscena dell’allontanamento di un responsabile medico della società, divenuto capro espiatorio dei fallimenti della squadra. Non lo sentiremo più parlare della sua maestria nel gabbare l’ingenuo (a suo dire) Ferretto, non ci dirà più che di aver finalmente trovato la Sua squadra alla vigilia di un derby con il Citta perso 1-4. Non ci racconterà più (se non probabilmente in un’intervista a qualche scodinzolante giornalista locale sempre attento a non guastare rapporti importanti) di aver fatto 10 punti in 5 partite, score che avrebbe probabilmente realizzato anche un tecnico di terza categoria senza patentino, contro squadre con la testa, le gambe e pure qualcos’altro in riva al mare. A meno che la fantasia al potere dello stralunato Masolo non decida di riportarlo a Vicenza (“ma in serie C sarebbe difficile” ha detto ieri sera l’attuale presidente). Un’evenienza che, per amore dei nostri colori, non vogliamo nemmeno prendere in considerazione.
Sul banco degli imputati, alla stregua dei due precedenti padri, ci sta l’intera squadra. Con qualche ovvia eccezione, su tutte quella di un certo Alberto Frison, che ha tenuto la maschera dell’ossigeno premuta sul viso del Vicenza fino a quando ha potuto, cioè fino al ritorno dei playout. Giova ricordare, su questo punto, al cav. Cassingena che i giudizi di Corrado Ferretto sul portiere che venne preferito a Frison lo scorso anno (Russo) valsero al nostro collega il foglio di via presidenziale dalla diretta radiofonica dei match dei biancorossi, dopo oltre vent’anni ininterrotti di attività. E un atteggiamento di ostruzionismo della società che durò fino a quando biancorossi.net divenne una realtà amata e riconosciuta dai tifosi, a quel punto impossibile da zittire. Una voce indipendente e libera in un mare di compromessi, su tutti la famosa mano che lava l’altra utilizzata per fornire notizie ai media locali in cambio di certi trattamenti di favore. La squadra, si diceva. A furia di cavar sangue dalle rape, anche Cristallini ha esaurito la fantasia. “Volevo Sansone, m’han dato Danti e Maritato”, disse a suo tempo Silvio Baldini. Il dt ci provava pure a portarlo a casa, Sansone. Ma quello (e come lui tanti altri) mica ne voleva sapere di venire a Vicenza per un caffellatte. E, purtroppo, solo un caffellatte si poteva offrire, non eran tempi in cui giravano i milioni e mezzi lordi. Dei nuovi arrivati della stagione, il solo Paolucci ha strappato a morsi un voto sufficiente (pur con la colpa grave dei rigori sbagliati). Per gli altri, anonimato assoluto, o passaggio da meteore come il mitico Possebon. La vecchia guardia, dal canto suo, non è quasi mai riuscita a formare un gruppo degno di questo nome, con la capacità di soffrire e ripartire, di morire e rinascere, di compattarsi intorno alle difficoltà e andare oltre i propri limiti. L’andamento dell’ultima, fatale partita è lo specchio di tutto questo.
L’ultimo padre del fallimento è, lo diciamo con autocritica, l’ambiente che circonda squadra e società. Per raggiungere obbiettivi e risultati importanti sono necessari stimoli, idee, vivacità. Ciò che manca ad Isola e intorno a via Schio. La normalizzazione imposta da Cassingena ha spento la critica, offuscato le opinioni fuori sintonia, ridotto l’informazione a puro copia e incolla dei comunicati stampa societari. La nostra autocritica riguarda il fatto che, alla luce del disastro finale, avremmo forse potuto fare qualcosa di più. Prima.
L’ultima parola è per l’unica componente assolutamente innocente di questa retrocessione, il tifo biancorosso. Il serpentone di auto e pullman partito ieri dal Menti e arrivato al Castellani con un pieno di entusiasmo (quello vero) senza pari è da serie A. Il sostegno fino al 94’ dei 1300 supporter arrivati in Toscana meritava ben altro finale, come hanno riconosciuto tutti i protagonisti della sfida. A loro, e a tutti i sostenitori vicentini, via Schio (indipendentemente da chi è rappresentata al momento e da chi la rappresenterà) deve solo una cosa: riportare al più presto la maglia biancorossa in una serie cadetta che sia trampolino di lancio verso l’unica categoria che meritano, la serie A.
Il campo è andato, si può provare con le carte bollate…